Il Pirata, di Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani

SI PUO’ MORIR D’AMOR

Per il Bellini International context, dopo una serie di interessanti concerti e manifestazioni, nella serata del 23 settembre, in ricordo  del giorno della morte del compositore catanese, presso il Teatro Massimo Bellini,  di Catania è andato in scena Il Pirata, con la direzione musicale di Marco Alibrando e la regia di Renato Bonajuto,

Nel cast:

Gualtiero Celso Abelo

 Imogene Irina Lungu

 Ernesto       Franco Vassallo

Itulbo          Ivan Tanushi

Goffredo      Mariano Buccino

Adele           Silvia Caliò

Orchestra e Coro del teatro Massimo Bellini di Catania

Maestro del Coro   Luigi Petrozziello

Scene e video Arcangelo Mazza

Costumi   Mariana Fracasso

Luci Antonio Alario

Grazie a  un nuovo allestimento scenico, la scelta è caduta sull’opera ambientata in Sicilia, su libretto di Felice Romani,  la terza composta dal Cigno dopo la partenza da Catania, e che segnò, per il giovane Bellini, l’inizio di una nuova era musicale e decretò il superamento del genere rossiniano e il sodalizio con il librettista che coniugava perfettamente la tendenza verso la malinconia, la meditazione, la passione sincera e spontanea che diventeranno la cifra delle composizioni belliniane.

Durante la prima recita, a Milano, quando lo spettacolo stava per cominciare, lo sconosciuto musicista comparve accanto all’orchestra e il pubblico, dopo la sinfonia, lo accolse con grandi applausi.

L’istessa lingua italiana non ha termini come descrivere lo spirito tumultuante che investiva il pubblico, chiamandomi sul palco”. Con queste parole raccontava, il giovane catanese, in una lettera ai suoi familiari, la gioia e il trionfo di quella esibizione.

Ed ancora oggi, la sinfonia incanta; come incantano il duetto del primo atto tra Imogene e Gualtiero, il recitativo finale del primo atto, il duetto e poi il terzetto tra Imogene, Gualtiero ed Ernesto del secondo atto e, più di tutto, la famosa aria di Imogene che sul finale  commuove e strazia.

Drammone romantico, nel Pirata, tutto è assoluto, “tutto è conflitto tra amore e odio, vendetta e pietà, strazio e felicità, eros e thanatos”.

La trama, nei canoni del Romanticismo, racconta di un amore impossibile e travagliato che porta alla pazzia e alla morte; è ambientato nella Sicilia del XIII sec., terra di conflitti tra Angioini, Svevi e pirati aragonesi, e la vicenda ha inizio con un naufragio che porterà sull’isola il Pirata Gualtiero che incontrerà qui la donna da lui amata e da anni perduta: Imogene. Ma la donna è andata in sposa al potentissimo Duca Ernesto sacrificando se stessa per salvare il padre. I topoi del melodramma ci sono tutti: dopo una serie di agnizioni, confessioni, giuramenti di vendetta e preghiere, i tre protagonisti andranno incontro alla morte, necessaria e risolutrice.

A partire da quest’opera Bellini perfeziona il suo stile, lo rende unico, si incammina verso la  cifra che lo porterà alla “melodia infinita” dei capolavori, Sonnambula, Capuleti e Montecchi e Norma. Il suo talento era saper immaginare una bella melodia, lunghi archi e linee vocali che permettevano alla voce umana di toccare il cuore con la più piccola delle frasi; ha costruito uno schema narrativo in cui ogni sentimento poetico sia rivestito d’una frase musicale che possa indicare l’intero pensiero di chi la pronuncia;  una musica che fosse un’arte imitatrice della natura.

 Già da qui versi e  musica si fusero perfettamente nelle mani di Bellini che non sacrificò mai i versi al canto, né il canto alla parola, né lo strumento al canto.

In questa edizione del Teatro Massimo di Catania abbiamo potuto ascoltare un’esecuzione musicale dignitosissima: enfatica e ritmata  la direzione  del Maestro Marco Alibrando che ha guidato l’orchestra con energia e passione. Alcuni passaggi  sono sembrati  potenti al punto di rischiare di coprire le voci, ma nel complesso la resa musicale è stata vibrante e piena di colore. Anche il coro, preparato da Luigi Petrozziello, ha regalato momenti di grande compattezza.

 

Dolce e cristallina la voce del soprano Irina Lungu -che ha aperto le celebrazioni belliniane con un galà alla Villa Bellini il 13 settembre, cantando arie celebri e che aveva magnificamente interpretato Norma a gennaio per l’inaugurazione della stagione 2025-  giusta nel suo ruolo anche scenicamente, sincera e coinvolgente; non del tutto alla stessa altezza il tenore, Celso Abelo (la partitura richiede al tenore una estrema flessibilità e la capacità di cantare a un livello altissimo con una voce mista, tinta di falsetto)  che, malgrado la sua esperienza, ha mostrato una certa fatica nel confronto col soprano e l’orchestra e con la voce potente e scura  del baritono, Franco Vassallo.

Un po’ didascalica e statica la regia di Renato Bonaiuto che ha costruito visivamente la vicenda creando una serie di fotogrammi pittorici, di citazioni artistiche;  nell’intento di rendere un omaggio totale a Bellini ha ambientato le vicende (soprattutto tramite i costumi curati da Mariana Fracasso) all’epoca del grande trionfo dell’opera a Milano, nel 1827. Un’operazione anacronistica -con le dame in abito sontuoso con tondo e sottogonna, i soldati di vaga ispirazione borbonica, lo sfondo di castelli nordici, la bara nera per il funerale, il bimbo in vestitino dal libro Cuore,  ecc.,- che gli “perdoniamo” per l’intento, nel momento in cui, sugli applausi finali, quando Imogene muore folle di quell’amore che ha consumato la sua esistenza,  scende sul fondale la grande immagine del Nostro, amato Nziduzzu, e, come sempre, ci commuoviamo.

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