«L’oro di San Berillo» di Domenico Trischitta ad Aci Bonaccorsi, per la rassegna Teatro in Corte

«L’oro di San Berillo» di Domenico Trischitta ad Aci Bonaccorsi, per la rassegna Teatro in Corte

«San Berillo ha avuto grande importanza nella mia gioventù catanese. A metà degli anni ’50 tutta la città passeggiava riversandosi in via etnea e, per noi diciottenni, c’era una deviazione obbligatoria verso il quartiere dove, in case compiacenti e autorizzate, si dava libero e poco costoso sfogo ai nostri bollenti spiriti. Erano tante le case chiuse, visitate da maschi di ogni tipo e censo…». Pulsa di vita e di memoria, l’incipit della prefazione scritta da Pippo Baudo all’atto unico «L’oro di San Berillo» dello scrittore Domenico Trischitta che, nell’adattamento drammaturgico e con la regia di Gisella Calì, debutta in prima assoluta sabato 6 settembre, alle ore 21, alla Corte di Palazzo Recupero Cutore ad Aci Bonaccorsi all’interno della rassegna Teatro in Corte organizzata dall’Associazione Città Teatro. Lo spettacolo musicale, prodotto da Associazione Città Teatro in collaborazione con Fiat Lux 2.0, vede in scena Cosimo Coltraro e Carmela Buffa Calleo, affiancati da Axel Torrisi, Giorgia Morana, Alessandro Chiaramonte, Daniele Caruso. La direzione musicale è di Elisa Giunta, le coreografie sono di Erika Spagnolo, i costumi di Rosy Bellomia, le scenografie di Rosario Di Paola. «Se ho scritto L’Oro di San Berillo – spiega Trischitta – lo devo a Baudo. «Lesse i racconti di mio padre e rimase folgorato e mi disse che avrei dovuto scriverne un testo per il teatro Stabile di Catania: purtroppo progetto che non andò in porto. Ma ora, finalmente arriva il debutto». E il racconto di Domenico Trischitta è una denuncia contro la mafia dilagante e la speculazione edilizia. «Improvvisamente – scriveva ancora Baudo nella prefazione – si sparse una notizia: San Berillo sarebbe stato demolito e sarebbe sorto un grande quartiere per fare affacciare Catania alla distesa azzurra del suo mare. Passeggiavo con il compianto Pippo Fava, maestro di giornalismo e di vita. Ci colpì vedere gli appartamenti spaccati dalle inesorabili pale meccaniche…». «Lo sventramento avvenuto alla fine degli anni Cinquanta – aggiunge Orazio Torrisi – avrebbe profondamente modificato la fisionomia, non solo topografica, del centro storico di Catania». «Il racconto (e lo spettacolo) è prima di tutto un omaggio carico di poesia, rivissuto quasi autobiograficamente attraverso il sogno di Saro, personaggio ispirato alla figura del padre. L’autore, grazie a un linguaggio crudo e vivace, fa rivivere così una Catania che non c’è più». Una Catania che ora rivive anche in scena. «Due – spiega la regista Gisella Calì – mi appaiono le strade da seguire per non perdermi nell’intricato mondo dell’Oro di san Berillo. Due, le linee che mi fanno da guida, tenendomi prudentemente per mano. La prima, il mio Virgilio, è Don Saro, che in quel quartiere c’è nato, cresciuto e lo ha amato di quell’amore puro ed esclusivo dell’infanzia. Non giudica, non condanna, non aggiunge particolari, ma semplicemente racconta, come un testimone presente sulla scena, protagonista principale e spettatore affezionato, al contempo. L’altro elemento è la musica, la “Canzone Italiana”, quella cantata a squarciagola, anche nei momenti più tragici, quasi un mantra per esorcizzare, colonna sonora di genitori e nonni, che riecheggia armoniosa dalle finestre dei vicoli del quartiere, fino a noi, oggi. Qui la Musica è Tempo. Tempo che scorre, scandisce, lenisce e purifica. Come un Carosello televisivo, tanto caro agli italiani tra gli anni ’50 e ’70, scorrono cartoline in movimento. Fotografie che finiranno per ammucchiarsi, ingiallite, in un cassetto di una credenza a Nesima, “il quartiere residenziale”, mentre il negativo rimarrà, come un modellino incompleto, abbandonato sotto il cielo di Catania, tra la Stazione e piazza Stesicoro».

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